"Quando ho letto il programma pianistico scelto dall'artista tedesca Alexandra Sostmann per la sua terza registrazione con l’etichetta discografica TYXart, non ho potuto fare a meno di pensare a Glenn Gould e alla sua concezione della storia della musica. Questo per il fatto che la pianista tedesca ha voluto includere nella sua incisione autori come William Byrd, Orlando Gibbons e Johann Sebastian Bach con compositori contemporanei quali Oliver Knussen, John Tavener, John Adams e Xiaoyong Chen, oltre al musicista jazz Markus Horn. Così, se da una parte abbiamo due tra i maggiori autori della musica elisabettiana come Byrd, con la Pavana e la Galiarda MB52 tratte dal Fitzwilliam Virginal Book, e Gibbons, con la Pavan & Galliard Lord Salisbury, e il Kantor con il Ricercar a 3 e quello a 6 voci dalla Musikalisches Opfer, dall'altra abbiamo opere non certo molto conosciute come Prayer bell sketch dello scozzese Knussen, The Lord’s Prayer, In memory of two cats e Zodiacs dell’inglese Tavener, China Gates del conterraneo Adams, i quattro brani che fanno parte di Diary VI del cinese Xiaoyong Chen e Piece after Byrd del tedesco Horn, i quali, una volta ascoltati e metabolizzati, si inseriscono perfettamente in quella linea continuativa, già affermata a suo tempo proprio da Glenn Gould, secondo la quale la musica antica, ossia quella che precede l’avvento del sistema tonale e che si basa su una concezione polifonica del suono, si ricollega idealmente alle istanze e alle sedimentazioni estetiche di buona parte della musica contemporanea, la quale si determina e si basa proprio su quelle conquiste polifoniche, emarginando di fatto tutto l’ambito che va dal dopo Bach fino al termine del tardoromanticismo. Non per nulla, se consideriamo le preferenze musicali (da molti considerate a dir poco originali) del leggendario pianista canadese, non possiamo fare a meno di notare come amasse gli autori elisabettiani, a cominciare dallo stesso Orlando Gibbons, da Gould stesso venerato e ammirato, passando poi ovviamente attraverso Johann Sebastian Bach, per poi riprendere il bandolo musicale a partire dal pianismo di Richard Strauss per poi far confluire il tutto nell’amata Seconda Scuola di Vienna (Schönberg e Berg), ossia con lo sviluppo estremo e il conseguente superamento di ciò che il sistema modale aveva affermato e diffuso cinquecento anni prima. E che Gould avesse una particolare idiosincrasia nei confronti della Prima Scuola di Vienna, basterà ascoltare il suo “originale” modo di affrontare Mozart e il suo ancor più eterodosso concepimento della musica beethoveniana, fermo restando la sua assoluta indifferenza nei confronti del Romanticismo tout court, Romanticismo che l’artista canadese, dall'alto della sua iconoclasta ironia, definiva un accidente storico vero e proprio nel percorso unitario che vedeva da un lato la musica antica e dall'altro la sua diretta prosecuzione ed emanazione, la musica contemporanea. uindi, quello scelto da Alexandra Sostmann, è un programma pianistico che in nome della polifonia da una parte e dello sviluppo del senso ritmico dall'altra, vede come inizio e come fine, non certo a caso, il Ricercar a 3 voci e il Ricercar a 6 voci del Kantor, presi e considerati come esempio, come debito canone nel senso proprio etimologico del termine, quale porta d’accesso e di uscita di un percorso musicale che non dev’essere inteso in chiave lineare, bensì circolare, dando l’impressione di un processo che non abbia una soluzione di continuità, non solo nell’ambito squisitamente musicale, ma capace di coinvolgere anche una dimensione estetico-trascendentale. Quindi, iniziare e finire con il tutto, ossia il Bach più estremo quello dei Ricercar del Musikalisches Opfer(nell’interessante intervista ad Alexandra Sostmann presente nelle note di accompagnamento, si ricorda come lo stesso Schönberg credesse assai poco alla celeberrima storiella del tema a tre voci proposto a Bach da Federico di Prussia il Grande affinché lo potesse sviluppare, in quanto date le evidenti difficoltà musicali presenti, sarebbe stato alquanto arduo per il sovrano, che pure vantava una discreta conoscenza della musica, soprattutto per ciò che riguardava il beneamato flauto, esserne il vero autore, mentre ad averlo pensato è più probabile che sia stato il secondogenito dello stesso Kantor, ossia Carl Philipp Emanuel Bach, che all’epoca era il clavicembalista di cappella del sovrano prussiano), e con un percorso musicale in cui l’antico si alterna direttamente al contemporaneo, per far comprendere all’ascoltatore come questi due poli, apparentemente opposti a causa del tempo, siano fondamentalmente invece parte integrante di un’unica sfera, in nome di un medesimo linguaggio espresso attraverso forme e istanze diverse. Così, la meravigliosa dimensione polifonica data dalle opere di Byrd e Gibbons può essere ritrovata, sentita e assimilata nella capacità di Knussen di restituire le vibrazioni date dalle campane in Prayer bell sketch, un brano che si regge su un delicatissimo rapporto ritmico tra il fff e il ppp, modulato dalla sensibilità data ai pedali e dalla pressione sui tasti, mentre il senso melodico-riflessivo del pianismo di Tavener, anch’esso frutto di un ritmo che è fondamentalmente respiro interiore, capace di abbandonare il rifugio dell’immanenza per aderire a dimensioni trascendentali, trova idealmente nei quattro segmenti di cui è composto Diary di Xiaoyong Chen il suo opposto spirituale, un alter ego nel quale il suono scandaglia l’immanente, nel suo fluire placido e millimetrico (il compositore di Pechino è a dir poco preciso in tal senso, visto che nella partitura indica con precisione di quanti centimetri i pedali del pianoforte debbano essere premuti per ottenere quella debita sonorità). E se China Gates di Adams, dall’alto del suo minimalismo, prende come canone otto note discendenti che simboleggiano la pioggia che cade, quasi fossero le guglie di una cattedrale gotica messa a rovescio, il Piece after Byrd di Markus Horn, riassume esemplarmente l’unione, la continuità tra ciò che è antico e ciò che è contemporaneo in nome di una visione jazz che flette, deforma, muta il principio polifonico della musica dell’autore elisabettiano, così come un oggetto immerso nell’acqua viene deformato nelle sue linee e nella sua struttura. L’interpretazione di Alexandra Sostmann è oltremodo convincente; se la lettura delle pagine bachiane e di quelle che riguardano i compositori elisabettiani pone in evidenza non solo una debita scansione ritmica che scende a patti con la struttura polifonica senza che la prima o la seconda prendano il sopravvento sull’altra, è anche vero che tale ritmicità si adagia nel tessuto contemplativo dei due Ricercar (e questo è soprattutto valido per quello a 6 voci), così come gli abbellimenti e gli ornamenti presenti nelle pagine di Byrd e Gibbons (l’artista tedesca per renderle al meglio si è voluta incontrare con Desmond Hunter, il massimo specialista al mondo sulla musica rinascimentale inglese, dal quale ha avuto preziose indicazioni su come restituire il fascino di queste composizioni) non tendono ad appesantire o peggio a svilire l’emozionante e delicata struttura sulla quale si reggono, dando così vita a una chiave di lettura che differisce da quella celeberrima che diede Glenn Gould nella sua registrazione effettuata tra il 1967 e il 1971, basata su un fraseggio fin troppo “pianistico”, mentre al contrario la Sostmann rende le pagine di Lord Salisbury non perdendo mai di vista la tensione del costrutto polifonico e senza cadere in una restituzione esecutiva freddamente oggettiva. Allo stesso tempo, le pagine contemporanee hanno il pregio di aderire al loro nucleo, fornendo una loro rappresentazione in cui le peculiarità stilistiche così come il DNA espressivo vengono manifestati con adeguata compiutezza (il brano di Knussen è un miracolo di equilibrio e di densità interpretativa), riuscendo in tal modo a finalizzare l’idea stessa del programma, il suo denominatore comune che ingloba l’antico con il contemporaneo alla luce di quel filo unitario che vede la progressiva, entusiasmante evoluzione dell’afflato polifonico e della sua pulsione ritmica. Un plauso va dato anche a Bernhard Hanke, che ha curato la presa del suono; la riproduzione dello Steinway D274 è quasi ideale sotto tutti i punti di vista. Se la dinamica (e soprattutto la microdinamica) permette di apprezzare la velocità dei transienti dello strumento e l’ottimo decadimento degli armonici, la ricostruzione del pianoforte nel palcoscenico sonoro è un concentrato di matericità capace di soddisfare pienamente anche il parametro del dettaglio. Da ultimo, l’equilibrio tonale vede il pieno rispetto del registro acuto e di quello grave, senza indebite invasioni o squilibri da parte dell’uno o dell’altro."